Generatrice di idee e di nuove tendenze, la Milano Design Week è stata anche un megafono per ribadire l’importanza di un modello sostenibile per lo sviluppo delle aziende dell’arredamento. Le dichiarazioni di impegno da parte delle imprese e delle istituzioni sono state tante, sempre di più, ma per rispettare in modo pragmatico e misurabile i temi riassunti dall’acronimo ESG (Environmental, Social, Governance) la strategia imprenditoriale deve essere strutturata e deve coinvolgere in modo sinergico l’intera filiera. Da questa esigenza di razionalità, metodo e cooperazione, è nato il Manifesto del Furniture Pact con il suo Monitor, il progetto creato con il supporto scientifico del Sustainability Lab di SDA Bocconi School of Management da un pool di aziende virtuose, accomunate dall’obiettivo di ridurre in modo concreto il proprio impatto sull’ambiente e di migliorare il benessere delle persone.
Elaborato nel 2021 e presentato per la prima volta nel giugno del 2022, in occasione del Salone del Mobile, il Furniture Pact è diventato operativo il 24 febbraio di quest’anno con la firma del Manifesto da parte delle prime sei aziende aderenti: Colombini Group, Imab Group, Neodecortech, Saib Egger Group, Stosa Cucine, Veneta Cucine. La sfida è quella di costruire insieme una filiera italiana dell’arredo più sostenibile con impegni comuni e traguardi certi. Ne parliamo con Luigi Cologni, amministratore delegato di Neodecortech, nonché presidente di Furniture Pact, e Stefania Carraro, direttrice operativa del Monitor del Furniture Pact e Fellow of Sustainability presso SDA Bocconi School of Management, che ha seguito fin dall’inizio il progetto.
Come e quando nasce l’idea di un percorso comune?
Luigi Cologni. L’idea è nata dal confronto tra alcune aziende della filiera particolarmente sensibili all’argomento. Eravamo già tutti convinti che i temi della sostenibilità declinati in ogni aspetto fossero destinati a diventare dei paradigmi sempre più importanti per la crescita delle nostre aziende, e individualmente avevamo già intrapreso azioni in questa direzione, ma sentivamo anche l’esigenza di trovare un modello scientifico per progettare un metodo condiviso e misurabile. Da quell’incontro, organizzato da Saib, è emerso subito come possibile riferimento il Fashion Pact già ampiamente collaudato nella filiera della moda. Avere come partner scientifico del progetto un istituto di ricerca come SDA Bocconi School of Management ci ha permesso di attuare un approccio pragmatico comune, che parte dalla definizione di obiettivi qualitativi e quantitativi per poi tracciare la traiettoria per raggiungerli.
Come si è sviluppato il progetto e come è stato definito il metodo?
Stefania Carraro. La ricerca è partita nel 2021 con una mappatura internazionale per far emergere le best practice del settore e non solo. Abbiamo analizzato in modo puntuale programmi di miglioramento e manifesti già presenti, ne abbiamo fatto una scrematura e poi abbiamo studiato con maggiore profondità il settore legno arredo coinvolgendo innanzitutto le aziende fondatrici attraverso incontri e valutazioni del loro approccio al tema. Contemporaneamente abbiamo lavorato su un panel di 35 imprese nazionali ed internazionali analizzando dati pubblici come i report e i bilanci o facendo interviste dirette. A questo punto siamo stati in grado di individuare sette parametri di valutazione, con relativi sotto parametri, per definire in modo puntuale il profilo ESG delle aziende più significative del settore e per creare una mappatura del loro posizionamento rispetto alle sette categorie individuate. Una matrice da cui partire per poter delineare in modo scientifico percorsi di miglioramento. Il grande valore della ricerca, inoltre, è quello di avere inserito categorie di produttori differenti che rappresentano l’intera filiera, perché un approccio sostenibile deve coinvolgere necessariamente tutta la supply chain.
Parlando di obiettivi, quali sono quelli prioritari individuati da Furniture Pact?
L.C. Abbiamo l’ambizione di esseri promotori di principi di sostenibilità in senso lato, ma oggi il tema ambientale è quello più urgente e anche più facilmente percepibile. Tutti riconoscono ormai l’importanza di diminuire le emissioni di carbonio, che palesemente impattano sul clima, ma per arrivare ad essere carbon neutral non basta controllare le proprie emissioni dirette (scope 1 e 2 del GHG, Green House Protocol, ndr) ma anche quelle indirette generate dalla catena del valore (scope 3, ndr). Come ha sottolineato la professoressa Stefania Carraro, la grande forza del Furniture Pact è quella di coinvolgere aziende che rappresentano tutta la filiera, perché l’impegno a migliorare il proprio profilo ESG non è una “gara” tra le aziende, ma una sfida per la crescita che si può raggiungere solo insieme.
Attualmente il Furniture Pact è stato sottoscritto da sei aziende; sono previsti nuovi ingressi e quali sono i criteri per poter accedere?
S.C. Ci sono già altre realtà con cui stiamo dialogando e c’è sicuramente molto interesse. Per entrare a far parte del progetto, è preferibile che l’azienda abbia già una sensibilizzazione sul tema e abbia di conseguenza gli strumenti per poterlo implementare attraverso la metodologia promossa dal Furniture Pact. A chi poi diventa membro, SDA Bocconi fornisce un assessment iniziale tramite incontri e interviste dedicate per analizzarne il profilo e per tracciare il percorso più idoneo da seguire.
L.C. Sicuramente chi ha già certificazioni di sistema (9001, 14001, 45001, 50001) parte con un approccio olistico e non settoriale e quindi è potenzialmente pronto a seguire il metodo individuato. Chi invece si avvicina ora a queste tematiche, può comunque essere accompagnato lungo un percorso che noi fondatori conosciamo già bene e che possiamo condividere. Per le aziende di cucina in particolare, che gestiscono il prodotto più complesso del settore arredo, il processo per migliorare il proprio profilo ESG è ancora più articolato e non è un caso che al Furniture Pact aderiscano già quattro big dell’arredo cucina. In generale, più ci saranno adesioni e più il beneficio per gli aderenti sarà superiore proprio per le ragioni già espresse legate al concetto di rete. Quello che auspichiamo, inoltre, è che all’interno delle varie categorie di industrie siano rappresentate tutte le fasce di posizionamento. Al Fashion Pact aderiscono realtà molto diverse, come Armani e Zara per fare un esempio, accomunate però dallo stesso impegno sul fronte etico e ambientale.
Ci sono delle resistenze da parte delle aziende a recepire obiettivi e procedure del Furniture Pact?
L.C. Le difficoltà sono principalmente legate alla maturità delle singole realtà dell’industria del mobile, che ricordiamo è sostanzialmente padronale, poco managerializzata, molto focalizzata sul prodotto. Non sempre si comprende a fondo quanto questi aspetti diventeranno ancora più cruciali per competere nel mercato. All’inizio della ricerca avviata da SDA Bocconi era emerso chiaramente come la percezione dei temi legati all’ecologia fosse completamente diversa quando si passava dai consumatori cosiddetti boomers ai millennials. Quest’ultimi sono molto più attenti e sono quelli con cui ci confronteremo nel prossimo futuro. Anche gli aspetti normativi dettati dalla Unione Europea sono in continua evoluzione e, visto che i processi di miglioramento non si improvvisano e richiedono tempi lunghi, è sicuramente meglio farsi trovare pronti quando ciò che ora viene adottato su base volontaria diventerà cogente. Certo il percorso richiede degli investimenti, ma molti dei progetti si “auto pagano”. È il caso del costo dell’efficientamento energetico, ad esempio, da cui si rientra però molto velocemente, tanto più ora che i prezzi dell’energia restano ancora elevati se comparati con la media del decennio precedente il 2022.
S.C. Oggi non è più una questione di scelta della singola impresa, perché se vuoi operare in alcuni mercati devi essere allineato e rispettare i parametri ESG. Il nostro modello prevede una metodologia scientifica, ma l’approccio è individuale e prevede di valutare come procedere guidando l’azienda a migliorare il profilo attraverso una serie di indicazioni e strumenti. Ovviamente siamo un ente di ricerca, non di certificazione, e come tale il nostro obiettivo non è dare giudizi, ma avviare una serie di processi gestionali continui che saranno valutati annualmente. Il primo impegno per gli aderenti è una strategia di sostenibilità integrata da adottare entro il 2025. Così facendo Furniture Pact diventa anche un booster potente per fare crescere la cultura green in azienda.
A proposito di cultura e formazione, quali sono le azioni concrete che proponete?
S.C. Tra giugno e luglio abbiamo programmato due incontri organizzati a Milano: uno presso la sede di SDA Bocconi e l’altro presso la sede dell’ADI, che fin da subito ha seguito la nostra iniziativa con entusiasmo. Gli incontri sono rivolti in primis al decision maker dell’azienda e poi a tutti i livelli apicali. Più il coinvolgimento all’interno dell’azienda è ampio, più si raggiungono velocemente i risultati. Il primo seminario, dedicato al tema della circolarità e agli sviluppi che può avere grazie all’intelligenza artificiale, si è tenuto il 14 giugno, mentre il secondo, previsto a luglio, ha come oggetto il tema cruciale dell’eco-design, visto che l’80% dell’impatto di un prodotto sull’ambiente può essere governato già in fase di progettazione.
L.C. Il grado di sostenibilità dei prodotti, che ci auguriamo possa essere certificata presto a livello europeo con una eco label, è un tema su cui stiamo lavorando, perché è un plus indiscutibile che accresce ulteriormente il valore del Made In Italy. Non a caso è uno dei 7 pilastri fondamentali individuati dal Furniture Pact. Sarà il mercato a dare la giusta accelerazione a un processo necessario per le aziende, per le persone e per il pianeta. Prima si inizia e meglio lo si affronta, con la consapevolezza di una sfida che non ha mai fine e che porterà alla pubblicazione della cosiddetta dichiarazione non finanziaria (un bilancio di sostenibilità esteso anche agli aspetti sociali e di governance delle aziende) anche da parte delle imprese con meno di 500 dipendenti. Le istituzioni europee hanno recentemente emanato una direttiva (CSRD) che dà delle indicazioni abbastanza precise in questa direzione. Tuttavia, sarebbe anche opportuno che, per accelerarne l’adozione, questo genere di impegno fosse riconosciuto dallo Stato con degli sgravi fiscali. Nel frattempo, grazie al Furniture Pact, si esce dalla fase delle buone intenzioni e le si incanala in una iniziativa razionale ed etica che a breve diventerà un‘esigenza di competitività.