Nel 1989 Roberto Gavazzi entra come socio di maggioranza e amministratore delegato in Boffi, azienda storica di cucine.
Sotto la sua guida Boffi consolida il brand come riferimento nell’arredo di alta gamma con una crescita organica e per acquisizioni, una grande espansione all’estero, una distribuzione forte grazie a negozi monomarca di proprietà e una proposta per tutta la casa. Dai sistemi come cucina, bagno e armadi all’arredo completo con l’operazione De Padova realizzata nel 2015.
Da più di 30 anni nel settore, Roberto Gavazzi racconta quale è stato il percorso che lo ha portato a diventare imprenditore, dopo una carriera iniziata come manager, in realtà di grande caratura come Saint-Gobain e Olivetti, e una formazione presso due università di prestigio come Bocconi a Milano e Columbia Business School a New York.
Qual era il sogno professionale cui aspirava da ragazzo?
Da giovanissimo non ero certo uno studente modello e mi sono goduto con piena spensieratezza quel periodo. Solo quando sono arrivato all’Università, e a una maggiore maturità, ho iniziato a immaginare il mio futuro professionale e fin da allora ho pensato di voler realizzare un progetto di cui essere interamente responsabile, seguendo la tradizione imprenditoriale famigliare. Un’ambizione che si è delineata con maggiore forza quando, dopo la laurea in economia, mi sono trasferito a New York per frequentare un MBA alla Columbia Business School. Fu proprio allora che mi resi conto di come lo studio, al quale mi dedicai con maggiore dedizione, fosse uno strumento fondamentale per poter un giorno gestire un’attività in proprio.
Qual è stata l’esperienza più interessante per la sua formazione?
Cosa consiglierebbe oggi a un giovane studente?
Sicuramente vivere all’estero, e in particolare in una città straordinaria come New York, per me è stato fondamentale. Un grande periodo formativo durante il quale ho potuto incontrare persone che venivano da tutto il mondo e aprire la mia mente. Ho sempre amato viaggiare, una passione che è nata fin dall’epoca in cui frequentavo l’Università Bocconi, ma vivere e studiare in un paese straniero è una esperienza ancora più importante e la consiglio a tutti i giovani. Anche mio figlio ha seguito le stesse orme e si è proiettato subito in una dimensione internazionale.
Prima di diventare imprenditore ha lavorato in due importanti multinazionali.
Qual è stata l’esperienza manageriale più significativa?
Ho iniziato a lavorare in Saint-Gobain, un’azienda multi business, con dieci divisioni, una leadership nell’area dell’edilizia e con una importante strategia di sviluppo in tutti i paesi. Fin da allora, la mia fortuna è stata di lavorare con uomini di grande capacità
e visione come Paolo Scaroni (poi presidente di Enel e Eni, solo per citare alcuni incarichi,
ndr), o come Xavier de Villepin, padre dell’allora primo ministro francese Dominique e lui stesso poi senatore a vita francese. In Saint-Gobain era direttore generale dello sviluppo internazionale e con lui, come suo assistente, ho seguito trattative importanti.
Negoziazioni dure, “cattive”, ma sempre molto formative.
Anche l’esperienza in Olivetti, all’epoca di Carlo De Benedetti, mi ha permesso di seguire la parte strategica di sviluppo internazionale, ancora una volta guidato da un capo carismatico come Elserino Piol (fondatore del venture capitalism in Italia e padre dello sviluppo di internet, ndr). Ognuno di questi passaggi, e di questi incontri, è stato fondamentale per costruire e ampliare la mia visione.
Nel 1989 entra come socio di maggioranza di Boffi. Qual è stata la molla per un cambio professionale e personale così importante?
Dopo i due anni trascorsi in Olivetti si crearono le condizioni per realizzare il mio sogno, grazie al capitale lasciatomi da mio padre.
Attraverso la rete di amici che lavoravano in campo finanziario, cercai l’azienda giusta su cui investire per fare il salto da manager a imprenditore. L’obiettivo era chiaro, cercavo una realtà piccola ma con un brand già consolidato che operasse in uno degli ambiti in cui l’Italia eccelle di più: moda, arredo, cibo.
Perché scelse proprio un’azienda di cucine?
In quel periodo, attraverso l’amico Mauro Corinaldi, allora consulente di Gualtiero Marchesi,
conobbi Paolo Boffi, che proprio in quegli anni aveva collaborato con il grande chef per la messa a punto della cucina Congegno. Un incontro molto fortunato, perché le nostre esigenze si sposavano perfettamente. L’azienda aveva tutte le caratteristiche che stavo
cercando e nello stesso tempo Paolo Boffi stava cercando un partner, e non solo di capitale,
che potesse rafforzare l’impresa di famiglia. Aveva da poco rilevato le quote dei suoi due fratelli e non aveva una discendenza su cui poter contare. Una grande opportunità per
entrambi, un incontro fantastico e tanti ricordi belli condivisi, non solo professionali.
Quali sono le qualità umane e professionali di Paolo Boffi che la conquistarono?Paolo ha intuito, grande passione e competenza. Qualità che si bilanciavano perfettamente con la mia visione progettuale più razionale e strategica maturata negli anni precedenti.
Paolo, inoltre, ha radici fortemente brianzole, che si esprimono nella sua tenacia e nella
profonda conoscenza del mondo dell’arredamento, che proprio in Brianza ha visto nascere le grandi eccellenze del design italiano. Allora ignoravo tutto del settore, ma le mie esperienze lavorative precedenti avevano rafforzato un’impronta mentale pronta ad apprendere e grazie a Paolo, e a tutti coloro che lavoravano già in azienda, fu più semplice comprendere il “mestiere” e capire quanto fosse importante la parte creativa. A questo proposito devo a Paolo Boffi anche un’altra grande opportunità. Grazie al suo intuito, aveva già individuato in Piero Lissoni, allora trentenne e con uno studio appena avviato, il direttore artistico di Boffi. Da parte mia riconobbi immediatamente in Piero la mia stessa attitudine a proseguire in modo molto lineare e coerente una visione progettuale. Per lui si trattava di seguire un’idea creativa, per me di costruire in modo chiaro la strategia che avrebbe portato Boffi a crescere come brand nel mondo e ad ampliare le soluzioni proposte.
Qual era il suo progetto strategico?
Mi era chiaro fin da subito, ed è tanto più vero oggi, che bisogna avere una massa critica più importante per crescere all’estero e che dovevamo offrire al cliente ideale Boffi tutte le risposte per la sua casa. Se nei primi anni ci impegnammo a consolidare la cucina e il mercato italiano, che rappresentavano il 90% del fatturato, negli anni successivi iniziammo a perseguire i nostri obiettivi di espansione.
Le potenzialità erano elevate e il disegno era già molto preciso. Boffi avrebbe dovuto rappresentare il brand di riferimento per tutti i sistemi complessi della casa - cucina, bagno, armadio - mentre era necessario trovare un altro brand affine come gusto e importanza sul mercato per completare la nostra offerta.
L’operazione De Padova del 2015 è stata esattamente espressione di questo progetto. Era tempo che dialogavo con la famiglia, prima Maddalena e poi Luca, e alla fine siamo riusciti a concludere un’operazione con la soddisfazione piena di entrambe le parti. L’ultima aggregazione risale al 2019 con l’acquisizione di ADL, che ha completato i nostri sistemi con porte e pareti divisorie di altissima qualità, preziose per partecipare ai grandi progetti contract.
Qual è stata la maggiore difficoltà incontrata come imprenditore?
A parte le difficoltà oggettive di un mondo complesso, governato da molte variabili non controllabili, lo scoglio più grande l’ho affrontato all’inizio della mia sfida imprenditoriale per un errore di valutazione. Volevo portare in Boffi una cultura diversa nei ruoli chiave, assumendo manager con ottimi profili provenienti dall’ambiente milanese. Non avevo ancora colto a fondo la grandezza dello spirito brianzolo che caratterizzava l’azienda e che era parte fondamentale dei suoi valori. Quando dovetti sostituire i manager selezionati, cercai profili, anche con competenze in settori diversi, che sapessero parlare la “lingua” dell’azienda. Se si pone rimedio, anche gli errori sono importanti per la crescita, propria e dell’azienda.
Come è cambiata la sua visione nel tempo?
Rimane prioritaria la strategia di sviluppo internazionale e la stiamo portando avanti con grande coerenza, cercando di cogliere le opportunità che si creano di volta
in volta. L’evoluzione tecnologica dell’intelligenza artificiale è invece un ambito che dobbiamo monitorare con attenzione per aggiornare gli aspetti gestionali e garantire uno standard sempre più alto.
Siamo sinonimo di eccellenza e dobbiamo mantenere le promesse di un brand come Boffi. Una qualità che parte innanzitutto dalle risorse umane, patrimonio fondamentale dell’azienda, perché la scelta delle persone in questo settore è molto importante e lo è a tutti i livelli e latitudini. Anche nei nostri negozi monomarca all’estero, la qualità che ci contraddistingue è sempre legata alla professionalità e competenza specifica delle persone. Abbiamo a che fare con clienti sovente difficili, con aspettative molto elevate e garantiamo loro un prodotto sempre su misura. Soluzioni costose che non possono deludere.
Dopo 30 anni, quali sono i valori del settore che ha fatto suoi?
Sicuramente ho capito che la forza del nostro mondo è proprio quella passione e competenza che va oltre le regole puramente manageriali, necessarie ma non sufficienti. Non è un caso che nella maggior parte dei casi al timone delle imprese migliori ci siano ancora le famiglie che le hanno fondate, e che le nuove generazioni stiano operando con la
stessa passione imprenditoriale di chi le ha precedute.
Personalmente posso dire che lo spirito di Boffi mi ha completamente conquistato
e arricchito anche sotto il profilo umano. Mi sento pienamente responsabile del progetto imprenditoriale che ho seguito, ma so che sarebbe stato impossibile perseguirlo senza la squadra straordinaria di persone che ho al mio fianco.