Intervista a Silvio Fortuna, ad di Arclinea e coordinatore della commissione “Esportiamole” che opera nel Gruppo Cucine per rafforzare lo sviluppo all’estero delle imprese italiane.
Il Gruppo Cucine, presieduto da Patrizia Copat, continua
la sua attività propositiva
attraverso le sue commissioni
“Innoviamole” ed
“Esportiamole”. Per quanto
riguarda quest'ultima,
che ha il compito di sviluppare
ulteriormente l'export del
settore che oggi rappresenta
circa il 30% del giro d'affari, la
difficoltà rimane ancora legata
alla dimensione media delle
aziende che talvolta impedisce
di effettuare i necessari
investimenti per trasformare
presenze e forniture tattiche
in una presenza più radicata.
Con questa consapevolezza, la
Commissione “Esportiamole”
coordinata da Silvio Fortuna
si è assegnata il compito
di studiare l'individuazione
di nuovi mercati nel mondo
per promuovere la nascita
di “Kitchen District”, ritenendo
che la presenza di showroom
dedicati al prodotto cucina
e ad altri collegati, tipo
elettrodomestici e arredo
bagno, possa rappresentare
una piattaforma di strategia
di marketing adatta
a sviluppare azioni di
comunicazione, promozione
e commercializzazione comuni.
DAQ (Design Affidabilità
Qualità) + KAB (Kitchen
Appliances Bath) potrebbe
diventare il binomio per
veicolare la riconoscibilità e il
conseguente apprezzamento
della cucina italiana nel mondo.
A Silvio Fortuna,
amministratore delegato di
Arclinea, chiediamo di entrare
nel dettaglio del programma
di sviluppo delle aziende
italiane di cucine sui mercati
esteri.
In che cosa consiste la trilogia
Kitchen Appliances Bath? L'acronimo KAB raggruppa i tre
settori che nell'export hanno
obiettivi coincidenti sia come
mercati sia come distribuzione.
Cucina e bagno sono prodotti
complessi che necessitano di
progettazione e in ogni cucina
sono inseriti almeno
tre elettrodomestici.
Quali sono i paesi che avete
identificato come i più
importanti per la crescita
del comparto?
Stranamente la cucina italiana
è debole dove il mobile è forte:
nei primi 7 paesi di
esportazione il nostro gap
rispetto l'industria tedesca
è di 1 a 10. Siamo noi uno.
Dobbiamo non tanto pensare
a quali paesi ma trovare
la chiave risolutiva per quel
paese. Abbiamo attivato una
collaborazione con l'università,
che passando attraverso
un dottorato di ricerca
ci permetta di implementare
un marketing operativo
finalizzato e non generalizzato.
In un momento difficile
come questo, quanto
sono disposte le aziende
ad investire in un progetto
comune?
Questo lo vedremo presto.
Certo è che il principale vettore
di sviluppo passa attraverso
il posizionamento della cucina
italiana nel mondo.
Dopo un 2008 che ha ancora
registrato una crescita
del 4% sui mercati esteri,
come è stato l'andamento
dell'export per il comparto
in questi primi sei mesi?
Certamente negativo.
Il nostro settore molto più
legato all'edilizia ha maggiore
abbrivio (si tende comunque
a completare ciò che si è
iniziato) e ci ha regalato
un 2008 ancora positivo.
Contract o dealer tradizionali:
quale è il futuro
più promettente per la
cucina italiana?
Oggi è il retail: la vendita
al dealer e quindi all'utente
finale. Ma la catena del valore,
all'estero, pone il contract
come la via più efficiente
per arrivare al consumatore.