La visione sistemica del design

La professione del designer oggi richiede nuove competenze ma anche desiderio di sperimentare, come ci spiega Francesco Zurlo, preside della Scuola del design del Politecnico di Milano

Secondo il Rapporto Design Economy 2025*, l’Italia si conferma come il Paese che detiene la leadership dell’industria europea del design in termini di fatturato e addetti, con oltre 46 mila operatori. Con Francesco Zurlo, preside della Scuola del Design del Politecnico di Milano e direttore del centro di ricerca Design Strategies del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano, approfondiamo alcuni dei dati emersi dal Rapporto per capire come stia cambiando il ruolo di una figura professionale sempre più strategica per lo sviluppo delle imprese grazie alla sua “capacità di costruire ponti tra saperi e discipline diverse".

Qual è l’aspetto più rilevante che emerge dalla fotografia di una professione che sta modificando il proprio ruolo?

Francesco Zurlo, preside della Scuola del Design del Politecnico di Milano e direttore del centro di ricerca Design Strategies del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano

La prima evidenza è la molteplicità delle figure che oggi operano nel design, non più solo legate agli ambiti tradizionali della grafica, del prodotto o degli interni. Penso, ad esempio, alla progettazione dei materiali, tema fortemente legato a quello della sostenibilità per cui si richiedono anche conoscenze di chimica, per arrivare al prompt design, capace di istruire nella maniera più efficace i sistemi di AI. Contemporaneamente cresce l’importanza della progettazione di nuovi servizi, in particolare di quelli digitali.

Cosa è assolutamente necessario per la professione, oggi?

Più in generale possiamo dire che il designer oggi più che mai deve arricchire le proprie competenze ed essere in grado di interpretare e amplificare quei segnali deboli che emergono dalla società, in particolare dalle nuove generazioni, dall’evoluzione della tecnologia e da un contesto geopolitico ed economico sempre più volatile e incerto, per poi tradurli in nuove idee di prodotto e servizio.

Come si è evoluto il rapporto con le imprese?

Sempre più il designer collabora direttamente con quella che possiamo definire la “stanza dei bottoni” e per questo deve parlare tanti linguaggi, anche quelli del marketing e della finanza, temi formativi su cui il Politecnico, ad esempio, sta investendo tanto. Grazie alla sua capacità di dialogare a più livelli, può confrontarsi con chi in azienda deve prendere decisioni strategiche, operando come una sorta di regista, primus inter pares, all’interno di una organizzazione.

Il designer deve parlare tanti linguaggi, operando come un regista all’interno di una organizzazione

In altre parole oggi si richiede una capacità di innovazione sistemica legata ad aspetti pluridimensionali, che comprendono anche il disegno di una buona strategia di comunicazione, un buon packaging o un corretto display sul punto vendita, quest’ultimo tornato a svolgere un ruolo molto importante nella filiera. Aspetti multidimensionali che devono caratterizzare a monte le competenze del designer perché, anche se non deve necessariamente occuparsi di tutto in prima persona, deve sempre avere una visione chiara di ciò che si vuole trasferire al mercato.

Tenendo sempre ben presente anche gli interessi della società e dell’ambiente...

Come attore protagonista del processo creativo ha il compito di migliorare la competitività delle imprese ma anche il dovere di migliorare la qualità della vita delle persone e quella dell’ambiente (secondo il Rapporto Design Economy 2025, il 91,7% degli operatori del settore ha dichiarato un livello medio-alto nell’eco-design, ndr) e di tenere in considerazione anche la giustizia sociale, che può essere collegata ai meccanismi della produzione e del consumo. Una responsabilità etica ancora più grande oggi che ci si confronta con tecnologie dirompenti come l’AI.

Come sta cambiando la formazione per affrontare una professione sempre più complessa?

Agendo più sulle soft skill degli studenti che sulle hard skill finalizzate a una conoscenza molto verticalizzata. Un tempo attraverso lo studio si attingeva a competenze specifiche per costruire una sorta di mappa utile alla professione, ma oggi la conoscenza è talmente vasta e si evolve così velocemente che le mappe non sono più sufficienti perché dovrebbero essere aggiornate continuamente. L’obiettivo del docente, a questo punto, è di mettere lo studente nelle condizioni di imparare a imparare. Un allenamento alla complessità che sarebbe giusto anticipare fin agli inizi del percorso universitario, prima di entrare nel campo delle diverse specializzazioni.

Quali capacità diventano centrali?

Fermo restando che le verticalizzazioni di saperi nel design sono necessarie, quello che sta emergendo con più forza è la richiesta di figure orizzontali, capaci di una visione sistemica, di confrontarsi con più tematiche, assumersi il rischio, agire in autonomia e nello stesso tempo relazionarsi ad altri per portare avanti un progetto.

La formazione deve agire sulle soft skill mettendo lo studente nelle condizioni di imparare a imparare

Non a caso, nelle valutazioni dei candidati da parte delle aziende, ha un peso sempre più importante il così detto Diploma Supplement, documento che integra il titolo di studio con le esperienze all’estero o extra curriculari, tirocini o concorsi effettuati dal laureando, anche grazie alle opportunità offerte dalla stessa università.

Parlando specificatamente del settore arredo, quanto le imprese sono disposte oggi a investire in innovazione?

Nel management si parla del concetto di ambidestria che si riferisce alla capacità di un’impresa di essere sia efficiente nella gestione e sfruttamento delle sue competenze chiave sia capace di esplorare, attraverso l’innovazione, nuovi percorsi. Come si è visto anche all’ultima edizione del Salone del Mobile.Milano, in generale le aziende, soprattutto quelle gestite da fondi di investimento, sfruttano sempre più il proprio heritage, attingendo agli archivi storici, e tendono a esplorare sempre meno, ad esempio cercando nuovi talenti tra i giovani. Ma se non c’è più questa dimensione di ricerca esplorativa si può ancora parlare di design italiano, che invece ha esplorato tanto visto che sperimentare era in passato la sua peculiarità?

Master Sensorial Surface Design PoliMi

A proposito del Salone del Mobile e del ruolo della città di Milano, Politecnico è stato chiamato a realizzare la ricerca (Eco) Sistema Design Milano. Quali sono le evidenze più importanti emerse?

A Milano abbiamo un capitale creativo umano che non esiste in altre parti del mondo e la ricerca condotta per il Salone del Mobile ha evidenziato i numeri di una realtà cittadina costituita da quasi 17.000 professionisti e da oltre 16.000 studenti (senza contare quelli che frequentano le scuole private non accreditate dal Ministero dell’Università), oltre a tutti coloro che sono complementari al mondo del design, dai fotografi ai giornalisti, dai consulenti tecnici ai prototipisti. Una sorta di “parco naturale”, assolutamente irriproducibile, che rappresenta un vantaggio competitivo straordinario da tutelare. Un capitale creativo rilevante che viene “vascolarizzato” ogni anno dalla settimana del design, capace di attrarre e concentrare l’attenzione di operatori provenienti da tutto il mondo. Una formula che deve la sua fortuna al bilanciamento tra il Salone del Mobile in fiera, trainante, e il fenomeno del Fuori Salone.

Come creare un rapporto virtuoso?

Come in ogni eco sistema, l’equilibrio è delicato e va preservato attraverso una nuova consapevolezza e una relazione più significativa tra le due realtà. Detto ciò è evidente che anche il modello fieristico classico, nato in epoche in cui non esistevano internet né tanto meno l’AI e altri potenti mezzi di comunicazione, va ripensato. Il lavoro straordinario di ascolto e sperimentazione che sta facendo il presidente del Salone Maria Porro va in questa direzione e già oggi la manifestazione arricchisce l’offerta commerciale ma cerca anche nuove modalità narrative e operative, ad esempio dando un taglio culturale e relazionale all’evento, attraverso la promozione di iniziative culturali sia all’interno dello spazio fieristico che in città. Penso, ad esempio, alla bellissima installazione Light Library dell’artista Es Devlin alla Pinacoteca di Brera o a Mother, la suggestiva interpretazione del regista Bob Wilson della Pietà Rondanini al Castello Sforzesco.

Didattica, Master Sensorial Surface Design PoliMi

Qual è il ruolo che svolge il Politecnico in questa dinamica di analisi e sperimentazione?

Ci siamo posti due obiettivi principali. Il primo è quello di mettere a disposizione la nostra capacità di ricerca per approfondire, attraverso dati e riscontri empirici, la consapevolezza di questa risorsa unica, talvolta sottovalutata, rappresentata da quello che è stato propriamente definito (Eco) Sistema Design Milano. Come attori terzi rispetto a chi gestisce le iniziative fuori e dentro al Salone, inoltre, possiamo essere promotori di incontri strategici tra i diversi protagonisti del Sistema.

Ad esempio?

Lo scorso anno, il 16 luglio, abbiamo organizzato presso la nostra sede al campus Bovisa, un primo confronto con 130 stakeholder legati al Sistema Design e alla città, comprese le istituzioni pubbliche e culturali. Quest’anno abbiamo deciso di concentrarci su un tema specifico che coinvolgerà, ancora una volta, gli operatori legati al mondo del progetto, e non solo dell’arredo, con l’obiettivo di mettere a fuoco la dimensione culturale dell’offerta, che riteniamo sia sempre più importante.

A milano Una formula che deve
la sua fortuna al bilanciamento
tra il Salone del Mobile in fiera
e il fenomeno del Fuori Salone

Un aspetto, questo, che non deve essere solo appannaggio delle istituzioni tradizionalmente legate alla cultura del progetto ma deve essere considerato parte integrante del business, soprattutto di quello delle imprese di fascia medio-alta e alta. Una direzione strategica per definire ancora meglio il vantaggio competitivo del made in Italy. Nel frattempo, è giusto continuare a interrogarsi su quale ruolo deve avere una manifestazione fieristica oggi. Solo sperimentando si può arrivare a nuove formule e progetti per andare anche oltre alla dimensione spazio temporale del Salone, che in ogni caso rimane uno dei pilastri fondamentali del Sistema.

*Design Economy 2025 è il rapporto annuale realizzato da Fondazione Symbola, Deloitte Private, POLI.design, ADI Associazione per il Disegno Industriale in collaborazione con Comieco, AlmaLaurea, CUID, con il patrocinio del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e del ministero delle Imprese e del made in Italy.