Se la poltrona Fiocco, disegnata per Busnelli e presente nella collezione permanente del Moma, è una delle sue icone più amate, anche dallo stesso Pareschi, sicuramente è nel mondo della cucina che il designer ha espresso compiutamente la sua visione globale: dallo sviluppo del prodotto al coordinamento dell’immagine aziendale, dalla direzione artistica alla comunicazione.
E nessuno meglio del figlio Mattia, architetto e partner dal 2002, può aiutare a ricostruire una storia professionale che inizia a metà degli anni Sessanta e ha radici in quell’ambiente straordinario che era la facoltà di architettura del Politecnico di Milano, dove Pareschi si laurea nel 1965.
Un mondo fertile che aveva formato i più grandi maestri del design italiano e in cui, come amava ricordare Gianni Pareschi, dominava «l’utopia di un design che si sentiva capace di cambiare il mondo con le idee».
Una spinta creativa che all’inizio degli anni Settanta lo porta a fondare lo studio G14 Progettazione con un gruppo affiatato di altri architetti - un’amicizia nata sui banchi di scuola - di cui dirige dal 1974 il Centro Industrial Design.
In quello stesso anno, propone il sistema Toys per Boffi, antesignano di un concetto di arredamento integrato tra casa e cucina, ma è con i primi anni Ottanta e con la collaborazione con Sarila che Pareschi entra prepotentemente in cucina e ne definisce nuovi standard intuendo, primo tra tutti, che la cucina non era un ambiente da nascondere e neppure un luogo asettico.
«Volle proporre anche nei cataloghi immagini di cucina autentica e vissuta, ma soprattutto puntò l’attenzione sulle aree tecniche e funzionali, lavorando molto sulla zona cottura e aspirazione, sui materiali, su quei giochi di pieno e vuoto, di elementi chiusi e a giorno che oggi sono uno standard».
Tante le innovazioni di quegli anni proposte con Sarila, ma come esempio vale la pena di ricordare almeno Basic Hood disegnata nel 1981, la prima cappa che esce allo scoperto dando vita alla categoria fortunata delle cappe d’arredamento, la cucina Desk del 1983, in cui l’anta in acciaio dialogava con quelle in legno e lo schienale si arricchiva di elementi sottopensili per esibire piatti e bicchieri, il piano cottura Stone, sempre per Desk, realizzato in ceramica con le griglie disposte a semicerchio e lo spazio per preparare il cibo, l’elemento di contenimento con vetrine a vista di Giraglia, del 1990, ispirato alle vecchie drogherie e farmacie.
«Il rapporto con Sarila fu molto proficuo perché il dialogo avveniva direttamente in fabbrica. La conoscenza del processo da parte di mio padre lo portava a confrontarsi con i limiti della produzione e nello stesso tempo a superarli. Si definisce proprio in quegli anni la sua passione per i sistemi, che richiedeva una visione del progetto complessa e che troverà anche espressione nel mondo ufficio attraverso la collaborazione con Estel».
Nel 1984 Pareschi fonda la GP&CO e amplia sempre più la sua competenza dal “controllo del progetto” al “controllo dei fattori del processo” in cui giocava un ruolo importante anche la costruzione dell’immagine coordinata.
Un approccio più integrato che lo porta a misurarsi con nuove sfide come quella della catena di negozi Casakit, che anticipò negli anni Ottanta logiche di vendita che avrebbero poi fatto la fortuna di Ikea, e quella di art director in Ciatti, che allora rappresentava una delle punte avanzate della ricerca in cucina e di cui Pareschi fu ancora una volta capace di progettare l’identità di brand.
A metà degli anni Novanta, Pareschi inizia il suo fecondo rapporto con Scavolini, l’azienda con cui fino all’ultimo ha continuato a lavorare stabilendo un «rapporto di grande stima e anche di affetto».
Con Scavolini, Gianni Pareschi si confronta con un linguaggio estetico più tradizionale e lo filtra ancora una volta attraverso un approccio progettuale originale ma rigoroso, come dichiarò lui stesso in una intervista ad Ambiente Cucina parlando di Absolute Classic, proposta che oggi è declinata in cinque modelli.
«Per questo sistema d’arredo, che definirei un classico di classe, siamo partiti dall’architettura, che secondo noi costituisce l’approccio trasversale al progetto. E ci siamo domandati a quale epoca potevamo riferirci. Dopo un lungo studio abbiamo deciso che Absolute Classic si sarebbe ispirata all’architettura civile di fine ‘700. Absolute Classic è quindi un sistema costruito non su una serie di dettagli messi insieme, ma secondo una struttura base, che prende spunto da un preciso periodo storico».
Innumerevoli le altre tappe della collaborazione di Pareschi con Scavolini: ricordiamo Farm, Focus, Gala, Baccarat, Long Island, che diventano tutte referenze per l’ambito design di AtelierP, lo studio nato nel 2008 e condiviso con Luca Piccinno, oltre che con il figlio Mattia.
«In questi ultimi anni aveva lasciato noi in prima linea ma rimaneva sempre insostituibile riferimento per ogni sfida affrontata da AtelierP.
Abbiamo ancora in archivio tantissimi suoi studi e, fino agli ultimi giorni, ha vissuto il suo lavoro con la medesima passione».
Perché, in ultima analisi il “Progetto”, come si legge nella biografia di Gianni Pareschi, era “la sua unica sfida (e piacere)”.
Gianni Pareschi, architetto e designer di fama internazionale, nato a Milano nel 1940, è mancato nel gennaio 2017