Gabriele Centazzo, designer e presidente di Valcucine, ha lanciato un forte invito-provocazione a tutto il mondo imprenditoriale. Lo rilanciamo, per aprire un dibattito sui valori del Sistema Paese e delle PMI
“L'Italia, per salvarsi, ha bisogno di una visione, di un sogno che unisca tutti gli italiani
per un unico obiettivo. Ma quale può essere questo sogno?”
La domanda la pone Gabriele Centazzo, designer e
presidente di Valcucine che, dopo
una approfondita e lucida disamina su quali siano oggi le difficoltà delle
imprese italiane e del nostro Paese, immagina anche una risposta e lo fa
partendo da una metafora. “Il nostro
Paese è come una barca in mezzo al mare, piena di falle e in procinto di
affondare”, afferma infatti e, dopo, aver incitato a dare maggiore spazio alle nuove generazioni, le uniche in grado di
reinventarsi il futuro, prosegue la sua analisi: “Il rischio di affondare costituisce il presente, scegliere la rotta è il futuro. Ma quale rotta scegliere? Propongo una
soluzione, pur cadendo in contraddizione per la mia età, perché ho dedicato la
vita a dare una rotta alla nostra azienda e ho capito che le mie intuizioni
potrebbero costituire una buona soluzione anche per l'azienda Italia. In
lontananza scorgiamo alcune isole e dobbiamo scegliere dove approdare, per
poter offrire possibilità economiche alle generazioni future”.
Esaminate e scartate quattro
possibili isole, quelle “delle materie
prime”, “della produzione di grandi
numeri a basso prezzo”, “della
ricerca di base” e “del divertimento”,
Centazzo si chiede: “Verso quale isola,
dunque, deve essere diretta la nave-Italia con una rotta ben definita da un
grande leader carismatico, che sappia coinvolgere tutta la ciurma politica
verso un'unica direzione? Rimane l'isola
della creatività e della bellezza... Credo
che il nostro Paese possa primeggiare in una forma di creatività spontanea e
ingegnosa, fondata sull'intuito del piccolo imprenditore in grado di realizzare
brevetti sulla base della capacità di elaborazione del pensiero,
dell'intelligenza individuale e dell'esperienza. Da qui l'importanza delle
PMI, che caratterizzano il tessuto produttivo italiano e che dobbiamo difendere
come elementi di unicità e non combattere come fossero errori imprenditoriali.
Questa forma di creatività naturale, però, si perde se non viene opportunamente
stimolata. Per nutrirla è necessario rifondare il nostro modello di istruzione.
Su questo punto la nostra scuola va
completamente riformata. A noi industriali non servono ragazzi imbottiti di
nozioni e incapaci di elaborare un pensiero. Bisogna intervenire subito
inserendo sin dalla scuola primaria nuove materie, che stimolino la capacità di
elaborazione creativa... L'altro
capitale che troviamo nell'isola verso la quale abbiamo fatto rotta è la
bellezza”.
Anche in questo caso
l'imprenditore ribadisce il ruolo fondamentale dell'istruzione e propone
soluzioni concrete, per poi ritornare sui principi. “Ho dedicato la mia vita a cercare di capire cos'è la bellezza; ho sempre
discusso animatamente con chi dichiara che la bellezza estetica sia un fatto
relativo, soggetto alle mode, alla cultura del luogo eccetera.
Sì, tutto questo è vero, ma è solo lo strato
superficiale della bellezza. Esiste una bellezza profonda che è ancestralmente
impressa dentro di noi e che ogni uomo possiede, anche l'uomo della strada. Uno
degli elementi di questa bellezza profonda è l'armonia della diversità”.
Il concetto che “armonia e diversità siano valori assoluti”
trova riscontro in esempi illuminanti grazie allo sguardo profondo di Centazzo,
appassionato nei confronti della natura e molto più critico verso l'operato
dell'uomo, a partire da chi agisce nelle amministrazioni e nella politica,
senza risparmiare neppure le archistar.
Non manca un accorato appello al
Presidente della Repubblica affinché si tuteli il paesaggio e il patrimonio
artistico della nazione con leggi apposite, mentre sono molte e ragionevoli le iniziative possibili
proposte, alcune anche a “costo zero” e tutte finalizzate a far ripartire
“la nave” italiana.
Con una priorità individuata
nella riqualificazione degli immobili
e nel loro adeguamento alle regole
antisismiche, considerato oltretutto che “facendo ripartire l'edilizia, ripartirebbe l'intera economia”.
Conclusa questa prima parte,
che è possibile leggere e commentare sul sito www.rinascimento-italiano.it, Gabriele Centazzo lancia la sua sfida,
che riprendiamo integralmente.
Creatività, Bellezza, Etica
A questo punto vorrei condensare tutto il programma
finora esposto in una linea guida per il nostro Paese che, al di là dei partiti
e delle ideologie, possa diventare una possibile rotta per la nave-Italia.
Ecco qui rappresentato in questa metafora il mio
pensiero.
Le due colonne, Creatività e Bellezza, che con
passione ho cercato di descrivere e in favore delle quali ho tentato di
tracciare qualche linea di sviluppo, appoggiano su una base: l'etica.
Bisogna ripartire da qui, bisogna ricostruire le
fondamenta per il rilancio di questo Paese, perché sappiamo quanto oggi siano
fragili.
Ma che cosa è l'etica? Quando ero giovane ho posto
questa domanda a mia nonna, lei mi ha risposto così: «Se vuoi essere etico devi
imparare a mettere in questa successione quattro verbi. Il primo, essere:
perché ogni individuo è unico e deve elaborare il suo pensiero, che lo porterà
allo sviluppo di una personalità autonoma e a pensare con la propria testa. -
Altro che il nichilismo imperante! - Il secondo, fare: il lavoro nobilita
l'uomo, “dire” non conta nulla. Il terzo, avere: come giusta ricompensa del
fare». Mi viene spontaneo pensare a tutti quei politici che considerano l'avere
non come giusta ricompensa del fare, ma del furto...
«Il quarto devi scoprirlo da solo - mi ha detto -
perché solo allora sarai etico». Il quarto verbo ve lo svelerò alla fine di
questo testo.
Oggi mia nonna si rivolta nella tomba, perché abbiamo
invertito i verbi: primo, avere per essere e, con la finanza creativa e il
furto, senza fare.
Dopo aver rinforzato le fondamenta dobbiamo impegnarci
a costruire le due colonne portanti della creatività e della bellezza che ci
daranno possibilità di lavoro nell'innovazione, nell'arte, nel design, nella
personalizzazione con l'artigianalità. A questo proposito vedo ogni giorno
chiudere botteghe artigiane. La globalizzazione che obbliga a un mercato
mondiale chi vuol continuare a vivere, chiude le porte all'artigiano che non ha
la forza di internazionalizzarsi. Senza l'artigianato si va verso
l'omologazione, verso l'uguale che, come ho spiegato, è il contrario del bello.
In Italia abbiamo una capacità
artigianale enorme, non possiamo permetterci di perderla. Bisogna che il
governo intervenga per favorire una collaborazione tra artigiano e industria. La nostra
azienda sta realizzando, a questo proposito, un progetto specifico: il lavoro
di piccole botteghe artigiane permetterà di personalizzare in maniera unica un
nostro prodotto che, tramite la nostra forza commerciale, entrerà in case
sparse in tutto il mondo.
Così il lavoro di un piccolo artigiano diventerà
un'opera globale.
Noi italiani, che non possiamo competere
sul piano del prezzo, dobbiamo assolutamente recuperare la forza
personalizzante dell'artigianalità. A questo proposito cito due libri: «Futuro Artigiano» di Stefano Miceli e «L'Uomo Artigiano» di Richard Sennett.
Difendere l'artigianato e la genuinità
Servono, però, due azioni del Governo. Primo: una riduzione delle tasse a tutti quegli
artigiani che lavorano per l'industria allo scopo di favorire questo
matrimonio; secondo: una semplificazione
burocratica profonda e reale per tutte le botteghe artigianali con meno di
10-15 operai.
Ho sentito con le mie orecchie dichiarare da parte di
molti artigiani la loro decisione di chiudere, perché non ne possono più delle
pratiche burocratiche. Sono interventi semplici, che si possono fare subito, ma
è necessario che chi ha il potere decisionale si sporchi le mani, vada ad
ascoltare gli artigiani che lavorano, per capire le loro reali necessità.
In Italia, di solito, si decide nelle stanze asettiche
dei palazzi romani e si promulgano provvedimenti cervellotici che, invece di
semplificare, complicano ulteriormente le cose.
Tornando alla metafora delle colonne, ho messo come possibilità di sviluppo del lavoro la
genuinità. Penso che l'Italia, spesso schiava delle leggi standardizzanti
europee, debba avere, almeno sul cibo, il coraggio di emanare leggi molto più
severe, per bandire, ad esempio, tutti i coloranti, i conservanti, gli
insaporitori chimici e tutte quelle diavolerie che vengono usate nei
ristoranti. Ritorniamo al cibo genuino, indipendentemente dalle leggi europee!
Com'è ridotto il settore del gelato? Intrugli di
polveri e concentrati fanno rabbrividire l'insegna che ormai troneggia quasi in
ogni gelateria italiana: «Gelato artigianale». Eppure, in anni non molto
lontani, i gelatieri italiani conquistavano il mondo con la loro qualità.
Sempre in tema di enogastronomia constato, per
fortuna, quanto successo stanno avendo
Slow Food e Eataly, che recuperano la vera artigianalità e le varietà genuine della
storia dei cibi e dei vini italiani. Il Governo deve avere il coraggio di
emanare leggi che rendano il cibo italiano il più genuino al mondo. Sono certo
che provvedimenti del genere, che non costerebbero nulla allo Stato,
genererebbero un potente volano per il
turismo, che potrebbe dar lavoro a migliaia di giovani.
Attraverso la ricerca della genuinità si potrebbe ridar vita anche alla nostra agricoltura
agonizzante, sviluppando con intelligenza e creatività il biologico, per
diventare i primi al mondo in questo settore.
Non mi dilungo a scrivere tutte le opportunità che si
possono sviluppare sopra le colonne della creatività e della bellezza, perché
voglio riservare uno spazio alle richieste che mi sento di fare come PMI,
ossatura dell'industria italiana, purtroppo inascoltata.
Export management per le PMI
Non avanzo istanze generiche. Chiedo provvedimenti da
attuare subito.
Primo: sviluppare
l'internazionalizzazione delle PMI.
In Italia esistono aziende con prodotti d'eccellenza
che, però, non hanno la capacità di internazionalizzarsi.
Cosa fare? Creare
all'Università la specializzazione di Export Management. Non un corso
teorico, ma una Facoltà che selezioni ragazzi laureati, anche stranieri, con un
bagaglio di almeno tre lingue. Il percorso di studio, un triennio, potrebbe
prevedere un anno per la teoria e, per gli stranieri, di perfezionamento della
lingua italiana. Il secondo anno dovrebbe impegnare lo studente nell'azienda
che avrà espresso l'intenzione di assumerlo a fine corso. L'azienda indicherà
per quali Paesi ha bisogno dell'export manager, in modo tale che il percorso di
studi segua in maniera specifica l'esigenza commerciale. In questo anno
imparerebbe tutti i plus di prodotto che l'azienda intende esportare e si
integrerebbe con la struttura della stessa. L'ultimo anno potrebbe essere
vissuto in ambasciate e/o consolati italiani. I rappresentanti diplomatici si
impegnerebbero a mettere in contatto i ragazzi ivi ospitati con gli attori del
commercio e dell'industria locali. Che bello sarebbe far collaborare le
ambasciate!
I ragazzi, alla fine degli studi, sarebbero in
possesso di una rete di conoscenze tali da renderli subito operativi nelle PMI
e potrebbero contribuire fattivamente a sviluppare l'internazionalizzazione delle
stesse. Un esempio concreto: la mia azienda intende allargare il mercato ed
esportare in India. Fa richiesta di un export manager per questo Paese.
L'Università si fa carico di trovare un neolaureato indiano disponibile a fare
questo percorso con borsa di studio. Partendo già dalla conoscenza della lingua
indiana e delle abitudini di questo Paese, sarebbe semplicissimo ottenere un
ottimo export manager, formato alla perfezione per l'azienda che ne ha fatto
richiesta. Interessante anche il fatto che tutti questi ragazzi alla fine del
percorso scolastico avrebbero garantito un posto di lavoro. È chiaro che se
fossimo partiti 10 anni fa con questa operazione, saremmo già operativi da
anni, comunque meglio tardi che mai.
Far ripartire la ricerca
Secondo: lo
Stato deve organizzare un'agenzia per la difesa dei brevetti, del design, della
tipicità del cibo italiano. Sarebbe un provvedimento particolarmente
importante per le PMI, che non hanno la forza per difendere il proprio prodotto
in tutto il mondo.
Tale sistema deve prevedere la possibilità di
depositare presso l'agenzia gli elementi da difendere, con un minimo versamento
in percentuale sul fatturato del prodotto, realizzato nei Paesi nei quali l'agenzia
stessa garantisce la difesa dalle contraffazioni (ad esempio, lo 0,05%).
In questo modo lo Stato, con una spesa minima,
potrebbe organizzare un apparato, a livello mondiale, che costituisca un incubo
per i copiatori che, a questo punto, coscienti che il prodotto italiano viene
difeso con grande forza, sposterebbero la loro mira verso altri Paesi.
Quello appena descritto è una reale necessità per le
PMI.
Alla nostra azienda i cinesi hanno copiato dei
prodotti e hanno rilevato a scanner le fotografie dei nostri cataloghi per
realizzare, con le nostre foto, i loro depliant. È una sfacciataggine
insopportabile. Il Governo su questo deve intervenire. Se ci fosse la volontà
politica, collaboreremmo subito a mettere in piedi quest'agenzia.
Terzo: nella metafora della nave ho tracciato un ponte
tra l'isola della creatività e della bellezza con l'isola della ricerca. Ciò
significa che nel nostro Paese dobbiamo
far ripartire la ricerca. Senza ricerca non possiamo sviluppare per esempio
l'ecosostenibilità, ma saremmo in grado di operare solamente attraverso
giochi di marketing o di pennello verde. Cosa fare concretamente?
Il Governo deve finalmente avere il coraggio di
liberarsi dei «baroni» che hanno ingessato le Università, «baroni» che per fare
punteggio utilizzano le tesi dei ragazzi per pubblicare articoli e libri, senza
capo né coda, che firmano e che nessuno leggerà.
Deve avere spazio il merito e, nella
ricerca, va premiato con finanziamenti solo chi sviluppa brevetti. Non brevetti
qualunque, ma quelli nati dall'ascolto
delle necessità delle PMI, che
acquisteranno tali innovazioni, aiutando a finanziare i centri ricerca delle
Università.
Si può fare, si deve fare subito, è a costo zero.
Spero che con queste nostre proposte nasca un
dibattito e si realizzino cambiamenti concreti.
Dopo la firma, Centazzo
chiude l'intervento con un post
scriptum.
“Avevo promesso che alla fine avrei svelato l'ultimo
verbo da mettere in successione per essere etici. È condividere. La giusta successione è questa: essere,
fare, avere e condividere. Il termine «condividere» non comprende solo gli
elementi materiali, ma anche quelli culturali.
Dunque non è etica quella parte colta e raffinata del
nostro Paese, per fortuna numerosa, che, schifata dalla volgarità dominante,
dal brutto imperante, si è messa in disparte per non sporcarsi le mani. Così
facendo, ci ha lasciato nelle mani della volgarità, del cattivo gusto, dei
furbi, di politici che hanno perso il senso della dignità, della giustizia e
della bellezza e che, promuovendo il degrado senza essere intimiditi dal
sentimento del pudore e della vergogna, hanno rovinato l'Italia.
È tempo che la parte sana di questo
Paese si rimbocchi le maniche e, recuperando l'eticità, lavori per un nuovo
Rinascimento italiano.”
Nella foto, Gabriele
Centazzo, designer e presidente Valcucine.
Chi vuole leggere
l'intervento integrale di Gabriele Centazzo può consultare il sito www.rinascimento-italiano.it.
Tutti sono invitati a
lasciare un commento, che sarà ripreso da Ambiente Cucina, scrivendo a una mail a redazione.living24@ilsole24ore.com avente per oggetto "Dibattito Rinascimento italiano".
Il primo
intervento è di Stefano De Colle,
amministratore delegato di Elmar Cucine, vice presidente di Assarredo e
Consigliere incaricato del Gruppo Cucine.