Ripartire dalla storia

interviste –

Il progetto di Mariano Monaco, imprenditore della distribuzione figlio di un micro-distretto del mobile: riscoprire la propria storia per ridisegnare il futuro. Una visione illuminata che è già una risposta alla volontà di vivere un “Nuovo Rinascimento” italiano

Un
imprenditore della distribuzione del mobile innamorato della sua terra,
dell'arte, della cultura. Questo il ritratto in estrema sintesi di Mariano Monaco, che ha trasformato
l'impegno per la riscoperta e la conservazione dell'artigianato del legno
del suo paese, Mosciano Sant'Angelo
in provincia di Teramo, in un progetto di ampio respiro che gli è valso un'onorificenza
della Repubblica Italiana per l'alto valore storico e culturale riconosciuto
all'iniziativa.
Il
progetto è nato per riportare l'attenzione su un patrimonio storico legato alla
professione dei falegnami attivi nella
zona di Mosciano
, che nel periodo tra
il 1940 e il 1970
diedero vita a un vero e proprio “micro-distretto” della
produzione e distribuzione del mobile e degli accessori d'arredamento in legno,
la cui eredità è raccolta dagli attuali imprenditori attivi nella produzione e
distribuzione del settore. L'iniziativa promossa da Monaco attraverso l'associazione culturale Mo'Art da lui fondata si è articolata nel libro Mosciano
Sant'Angelo - Il Paese del Mobile. Storia di Arte, Tradizione, Passione
,
risultato di una ricerca storica che ha raccolto le testimonianze dei maestri
falegnami moscianesi, nell'intitolazione della Piazza dei Falegnami nel cuore del paese, e prevede infine un terzo
importante tassello: la creazione del
Museo del Falegname
.
Monaco, però,
è soprattutto un imprenditore impegnato nella gestione di una rete di punti vendita d'arredo in Abruzzo
(4 monomarca di cucina più il negozio storico multibrand, Euromobili, a
Mosciano) e di un'unità specializzata
negli imbottiti
, a marchio Bigsofà.
Alle spalle c'è un'attività di famiglia nel settore che ha appena compiuto 50
anni, come ci racconta lui stesso in questa intervista. Una case history, la sua personale e quella
degli artigiani di Mosciano, che ricorda a tutti che il Paese del Mobile… siamo noi.

Come riesce un imprenditore a
conciliare la professione con la passione per la cultura?

Credo sia questione di sensibilità: nel mio
caso amo l'arte e la cultura e non riesco a scindere questi valori dalla
professione. L'idea del libro, ad esempio, è nata perché in famiglia
desideravamo celebrare i 50 anni della nostra attività, che nei primi anni '60 inizia con la fondazione di un
mobilificio e nel '72 si amplia con l'esperienza della distribuzione. Così,
partendo dalla voglia di raccontare una storia di famiglia, mi sono reso conto
che si intrecciava profondamente con la realtà storica, economica e sociale del
nostro paese, che vedeva nel periodo di massimo splendore dell'artigianato del
legno ben 40 famiglie attive nella professione. Il libro celebrativo mi è parso
allora riduttivo e ho quindi lavorato per trasformarlo in una ricerca storica
che promuovesse l'intero paese e un pezzo importante della sua cultura. Un
percorso reso possibile anche grazie all'associazione culturale che ho fondato
e che si occupa di creare occasioni di confronto per gli imprenditori del
nostro territorio e di promuovere l'associazionismo. Per questo abbiamo
organizzato un convegno dal titolo QFXQC (Quale Futuro per Questa Città), che
ha chiamato a raccolta le associazioni con l'obiettivo di condividere,
discutere e creare insieme tra artigiani, commercianti e professionisti progetti
di rilancio della provincia di Teramo. Altro convegno più tecnico, appena
concluso, è stato invece dedicato al futuro del commercio e dell'artigianato
del mobile.

Eccoci al punto: quale futuro,
secondo lei, attende il settore del mobile; in particolare, quali sono le
criticità e le leve di sviluppo per il comparto della cucina?

Proprio nel mio intervento all'ultimo
convegno ho espresso, un po' provocatoriamente, la mia visione: in questo
settore bisogna ripartire da zero. Ovvero dal lavoro manuale, dal mestiere del
falegname. Certo, bisogna fare tesoro delle nuove conoscenze tecniche, ma
l'approccio deve tornare a valorizzare le produzioni locali, che sanno
esprimere l'unicità e i patrimoni culturali dei nostri territori. In Italia la
grande industria non si può più fare; il commercio attuale patisce la crisi e
la competizione di colossi stranieri: bisogna cambiare strada. Credo che una
sia quella di ripartire dall'artigianato per affiancare il prodotto
industriale, in un connubio in grado di soddisfare ogni tipo di fornitura
rendendola unica ed esclusiva, per rispondere a una domanda che diventa sempre
più sofisticata ed esigente. Penso che, in Italia, dove ogni territorio ha
almeno un giacimento culturale da cui attingere, si debba ripartire da ciò che
definisco 'endogeno'e quindi in grado di mettere in moto forze e creatività
profonde. Qui a Mosciano, ad esempio, ho appena proposto l'idea di creare un
tavolo attorno al quale siedano produttori e distributori di arredo per dare
vita a una Scuola dei Mestieri, sull'esempio di altre realtà simili già
affermate.

Torniamo più specificamente alla
cucina. A suo avviso, quali strade si aprono e quali si chiudono?

La lotta sul prezzo, secondo me, per la
produzione italiana è persa in partenza; anche la distribuzione specialista non
può pensare di farne un baluardo. Dobbiamo sì essere competitivi, ma su livelli
omogenei: non ha senso che un negoziante generalista di arredo cerchi di
competere con la GDO. Anzi,
noi distributori dobbiamo allontanarci da quel modello e lavorare su un
approccio di qualità e servizio, riferendoci a valori come l'onestà
intellettuale e professionale, la correttezza, l'etica… anche in campo fiscale.

Con la mia azienda abbiamo puntato
negli ultimi anni anche sul modello
distributivo del monomarca, per la cucina, che va nel senso della
specializzazione e del servizio alla clientela; perché trattando un solo brand,
in un ambiente complesso come la cucina, si riesce a raggiungere una vera
competenza professionale.

La produzione italiana - e penso
al mobile in generale, oltre che alla cucina - è ancora troppo polverizzata su
tante aziende piccole e medie. Questa situazione, soprattutto in fasi
economiche di contrazione, rischia di mettere in ginocchio l'intero settore del
Made in Italy e il suo patrimonio di design. È tempo, per la produzione, di
smettere di rimpiangere il passato e le marginalità elevate: noi distributori
auspichiamo un panorama più efficacemente organizzato, con fusioni in gruppi di
dimensioni tali da poter affrontare temi forti come la ricerca, la
sostenibilità, l'export, senza tuttavia dimenticare il mercato interno, dove
molto c'è ancora da fare in cultura e comunicazione. Vedo tanti consumatori che
fanno sacrifici per acquistare nuovi telefonini, automobili, facendo ulteriori
rate e poi… dormono da vent'anni sullo stesso materasso o hanno ancora la
cucina di primo impianto. E, nell'ottica di promuovere una cultura dell'abitare
che riscopra le nostre eccellenze territoriali, ritengo che sia giunto il
momento di impegnarsi anche in un associazionismo di categoria più coeso fra
produzione e distribuzione. Bisogna imparare a fare rete, specialmente nei
momenti più difficili: per me, fare squadra significa trovare soluzioni a
problematiche comuni.