Giuseppe Minoia, GfK Eurisko

la parola a... –

Esistono alcune aree e alcuni media che non sono sufficientemente e adeguatamente utilizzati dal mondo dell’arredo

Un parere particolarmente autorevole e molto stimolante, quello di Giuseppe Minoia, membro del Board e Presidente Onorario di GfK Eurisko (parte del Gruppo GfK)  il più importante istituto operante in Italia nelle ricerche sul consumatore.

Docente di Psicologia della Comunicazione presso la Scuola di specializzazione in analisi e gestione della comunicazione dell'Università Cattolica di Milano, Minoia è autore di diverse ricerche e contributi dedicati alle dinamiche della comunicazione sociale e, tra l'altro, ha seguito diverse ricerche svolte per Assarredo, tra cui l'indagine “Case da Re-inventare”, nel 2010  La sua visuale evidenzia che esistono alcune aree e alcuni media  che non sono sufficientemente e adeguatamente utilizzati dal mondo dell'arredo. E che le aziende, soprattutto sul punto vendita, potrebbero inventare nuove modalità di far “vivere” il design.


Due grandi fenomeni hanno influito sul mondo della comunicazione nei tempi recenti. Il primo è la globalizzazione, che per quanto riguarda la comunicazione ha sostanzialmente tolto autonomia ai Marketing locali; se fino agli anni 80-2000 la realizzazione delle campagne godeva di una certa autonomia locale, nell'ultimo decennio si realizzano soprattutto campagne transnazionali. L'esplosione della crisi ha poi influito su alcuni brand che non hanno più potuto comunicare, il che si ha inevitabilmente pesato sui consumi che, al di là dei generi di prima necessità, risentono pesantemente della pubblicità. Il secondo fenomeno è il diffondersi della cultura digitale e dei social, che ha generato in alcune (non poche) aziende e agenzie la convinzione che sia sufficiente “esserci” in  rete, per ottenere risultati  e manovrare opinioni. Il problema è che invece noi, dalle nostre ricerche, evidenziamo la voglia di opinioni forti, di dichiarazioni affidabili, di certificazioni. Accanto abbiamo il fenomeno della multimedialità, della possibilità di ciascuno di avvalersi di più mezzi per ottenere o confrontare lo stesso contenuto, ottenendo una convergenza di informazioni. Si tratta di un paradigma molto difficile da gestire per le aziende. Spesso, ad esempio, le strumentazioni che noi abbiamo a disposizione ci permettono valutazioni che spesso contraddicono le release ufficiali.  


Il bilancio della comunicazione attuale?  Direi che stiamo sempre più navigando a vista, muovendosi per tentativi ed errori. Di certo stiamo attraversando un momento ricco di contraddizioni, in cui occorre rivedere i “vecchi” criteri: troppo spesso esistono risorse e gli strumenti, ma si tratta di trovare - come e dove - gli interlocutori giusti cui rivolgersi. Esiste comunque, da parte di molte aziende, la paura di uscire dalla routine, di contraddirsi e contraddire i percorsi precedenti. Poi, per quanto riguarda gli interlocutori delle aziende, mai come oggi “non” vogliono essere analizzati.  


Ma c'è un altro equivoco che va chiarito, per quanto riguarda il diffuso “accesso-eccesso” di informazioni in rete. L'universo degli utenti della rete, almeno in Italia, non illumina tutto il target ma solo un 50%: certo, forse l'altra metà è il target meno interessante e meno evoluto, ma bisogna comunque avere presente cosa e a chi si vuole comunicare, tenendo conto che esiste ancora una larga fetta di interlocutori non così massicciamente coinvolta dalla rete. Noi abbiamo all'attivo delle ricerche specifiche per utilizzare solo la rete: ma tutto dipende che cosa fai, quale target vuoi raggiungere.


Certo, l'on line è perfetto se il segmento più adatto è quello digitalizzato e metropolitano, ma esiste un “ventre molle” dei consumatori che non capisce e anzi non gradisce un certo tipo di linguaggi Pensiamo ad esempio alla potenzialità trascurata di alcuni mercati, quale quello dei nuovi anziani.


Oggi esiste una oggettiva difficoltà a selezionare informazioni adeguate, e al contempo si registra anche una notevole ridondanza di informazioni disponibili.  Invece non emergono segnali di contenuto forte, anche se un certo tipo di stampa si è reso conto di dovere recuperare valore (penso soprattutto ai quotidiani e ai periodici specializzati), per rispondere alla già citata richiesta di contenuti reputati autorevoli affidabili. Per questo ritengo che i brand qualificati della carta stampata siano destinati a sopravvivere, anzi a durare e a rinascere, a riqualificarsi, magari anche nel formato on line, ma senza abdicare al proprio ruolo di garanti dei contenuti.  Ad esempio, penso all'utilizzo dei tablet, dell'Ipad, del mobile phone, a tutto il mondo delle applicazioni, che va in quella direzione.


Ma non solo. Penso anche a mezzi trascurati, ma non trascurabili, come per esempio l'universo audio: quello che vale e varrà sempre di più, anche in futuro, è il tempo; quindi qualcosa che si può ascoltare, recuperando tempo per l'informazione (o la cultura, o altro) ascoltando mentre si viaggia ad esempio, in macchina o sui mezzi pubblici, o mentre si cucina a casa propria (proprio come fa il protagonista dell'ultimo film di Clint Eastwood, “Hereafter”, che ascolta in audiolibro i testi di  Dickens, di cui è appassionato). E a proposito di libri, non credo che spariranno: il mercato è sostanzialmente fermo, ma i lettori d libri sono - tra gli utenti coinvolti nei nostri focus group - i più partecipi e appassionati. E il tempo del libro è un tempo morbido, utile, flessibile..l'ideale per la Banca del Tempo, preziosa per tanti di noi. Anche se certo, sempre più libri viaggeranno in futuro su pagine elettroniche. I due settori dove si rileva il maggior tasso innovazione comunicativa sono i due mondo del digitale e dell'audio, per l'appunto.


“Il linguaggio della comunicazione è cambiato, ma non si stratta mai di svolte radicali. Pensiamo all'annunciata svolta della green economy e di tutto quello legato all'ambientalismo e all'ecologia: certo, c'è un proliferare di retoriche comunicative, ma le modalità di comunicare non sono sostanzialmente cambiate. Torniamo su mezzi “tradizionali” che vanno riscoperti e innovati, come la pubblicità esterna. Anche la pubblicità esterna dovrà ancora cambiare inventando nuove forme più coinvolgenti, e consapevoli che l'affissione è parte integrante della comunicazione della città. Penso ad esempio a forme di comunicazione esterna come quella realizzata qualche tempo fa da IGP Decaux per  una campagna per il turismo in Brasile, in cui le pensiline degli autobus erano state riscaldate per evocare il clima caldo del paese sudamericano. La pubblicità che diventa esperienza, in un mondo dove molta della nostra esperienza è virtuale, sicuramente potrà avere degli sviluppi interessanti. Ci sono segnali che vanno in questa direzione e che ci suggeriscono, ad esempio, un bisogno di cultura e di esperienza diretta: come le code che abbiamo visto le scorse settimane a Milano, per visitare il nuovo Museo del 900. Riscoprire l'energia metropolitana, fare toccare con mano il prodotto, farlo condividere, offrire esperienze anche in un ambito di gratuità (altro grande tema per il futuro), ma anche la logica sempre più diffusa dell'outlet, che permette ad ognuno il suo momento di lusso, avrà importanti sviluppi.


“Sembrano logiche e strumenti lontani dal mondo dell'arredo, e della cucina , in particolare, ma non è così. Basti pensare agli italiani, si presume giovani e giovani coppie, che devono pensare al primo arredo o al primo impianto, che non hanno quasi mai le idee chiare, hanno pochissimi strumenti, informazioni, saperi, per orientarsi in un acquisto così importante. Molti sfogliano qualche rivista, sì danno un'occhiata non esaustiva su internet, poi approdano in qualche showroom dove si sentono sperduti e sostanzialmente abbandonati a se stesso. Ecco, la prima forma di comunicazione, è quella di essere più vicini al potenziale cliente. Dalla ricerca che abbiamo svolto, proprio per Assarredo, emerge prima di tutto la necessità di ri-formazione, di riqualificazione del capitale umano sul PV


Poi occorre capire e sintetizzare i diversi modi che hanno gli italiani di desiderare e pensare gli arredi: per età, possibilità economiche, luogo di residenza, cultura. La segmentazione del target deve essere ri-delineata, perché i mutamenti e le variabili oggi sono profondamente mutate.


Un discorso a parte, poi, è la necessità della comunicazione, o meglio della “spiegazione” del design: ancora oggi al maggior parte degli italiani non ne ha compreso a fondo il valore, o addirittura lo sfugge, tende a non avvicinarsi.


Nonostante la sbandierata “democratizzazione”, il design in Italia parla ancora un linguaggio d'elite, i grandi numeri non ci sono, la maggior parte degli italiani continuano a non “capirlo”.


"Comunicare il design è la grande sfida della comunicazione del settore, e non si tratta tanto di creare  una campagna, quanto, ad esempio, di realizzare corsi di design anche sul PV rivolte agli utenti-consumatori, proprio come si fa oggi per le scuole di cucina e gli eventi che affollano gli showroom. Ecco, siamo consapevoli che lo spazio della cucina, e di conseguenza il suo arredo, è profondamente mutato sia dal punto di vista concettuale che dal punto di vista dell'arredo. La cucina è sempre di più il baricentro dell'intera casa, una cucina senza pareti, perché sostanzialmente aperta a tutti gli abitanti della casa e a tutte le attività, e quindi ci deve essere di tutto anche se forse l'utente userà poco".


“Dalle nostre analisi la cucina risulta l'ambiente del massimo sharing,  il luogo della condivisione, uno spazio morbido e caldo, di accoglienza e condivisione, dove sentirsi accolti: ma non sempre queste indicazioni  si riflettono  nelle proposte di arredo sul mercato. Eppure, c'è ancora troppo poca capacità di adeguarsi alle esigenze e ai desideri di chi deve mettere su casa. Occorrebbe aiutare i giovani, almeno nella scelta della cucina, offrire loro dei progetti accessibili ma belli.


E dal punto di vista della comunicazione, occorre fare un salto concettuale: ad esempio, raccontare il backstage della cucina, cosa c'è dietro, come si realizza, come e con che cosa è fatta: offrire una comunicazione che faccia percepire il valore - non solo estetico - del prodotto. E ancora: sarebbe bello fare “vivere” una cucina sul punto vendita, offrirla come spazio per fare esperienze reali, non solo cucinarci ma ricevere, giocare a carte, incontrarsi. Oggi le persone voglio questo: andare dietro, sperimentare, condividere, entrare in una casa vera. Sempre di più, non a caso, si parla di consumi “specchio”: ecco, la nuova comunicazione passerà anche, forse soprattutto, da qui”.